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martedì 24 dicembre 2013

Speciale di Natale



































L'auto a noleggio

I fili ingarbugliati delle lampadine ad intermittenza avevano preso cinque anni e undici mesi di polvere in soffitta, in quel gennaio di cinque anni e undici mesi fa avevo tolto le lampadine dall'albero per l'ultima volta, e negli anni seguenti non avevo avuto tempo di pensare che in quel tempo si sarebbero succedute – nonostante tutto – cinque notti di natale. Era tutto uguale in casa, nulla era cambiato non mancava quasi nulla tranne il natale, quello era scomparso, estinto, prosciugatosi nella solitudine della mia camera da pranzo. Una volta ero un artista, giravo l'Europa e ritornavo a natale per stare con tutta la mia famiglia, adesso insegno a quattro passi da casa; il fine settimana bevo fino a non ricordare più il mio indirizzo. Il sabato, quando finisco con la scuola, al suono dell'ultima campanella, mi metto in tasca un foglietto con su scritto strada e numero civico di casa, a fine serata, con le ultime forze che mi restano, allungo il foglietto al tassista di turno che mi scarica davanti al portone. Mio padre vive in campagna, mia madre se ne sta tranquilla in qualche posto che ha il buon gusto di non rivelare a nessuno, i miei fratelli hanno le loro villette delimitate dai fusti sottili del bambù. Una volta gli scrivevo cartoline da Praga o da Amburgo, adesso nessuno di noi crede sia necessario alzare il telefono per chiedersi come va.

Erano passati sei anni da quando, la notte di natale, mia madre aveva detto a tutti che sarebbe andata via, erano passati sei anni e da quella sera avevo smesso di fumare, erano passati sei anni ed era il momento di provare a districare i fili e a testare le lucine ad intermittenza. La serie di lampadine era una di quelle vecchie, quelle in cui era possibile sostituire quelle fulminate, me ne servivano cinque per aggiustare il mio addobbo natalizio. Spesi una mattina intera girando a vuoto tra le bancarelle di natale decisa a trovare ciò che mi mancava. Alla fine, in una ferramenta piena zeppa di roba vecchia, trovai quelle maledette lucine, erano le ultime ed ero decisa a comprale, ma prima dovetti resistere al commesso che voleva a tutti i costi rifilarmi una nuova serie di lampadine. Sono due settimane che non bevo, quest'anno ho deciso di ricercare quel che resta del natale, ho noleggiato un auto e sto andando fino in campagna, voglio staccare mio padre dalla TV e portarlo a casa mia. Non cucinerò nulla, ho già ordinato tutto ad un ristorante spagnolo, mangeremo carne e qualsiasi cosa mangiano in Spagna il giorno di natale. Mangeremo e guarderemo l'albero illuminato dalla vecchia serie di lampadine, poi darò a mio padre un'agenda con la copertina in eco-pelle, non mi aspetto che lui mi faccia un regalo, voglio solo che si stacchi da quella cazzo di televisione. In strada la gente sembra impazzita, tutti corrono da qualche parte, per un attimo provo ad immaginarmi dove, poi lascio stare e continuo a guidare. Il paesaggio cambia in fretta, gli alberi prendono il posto dei lampioni e tutta l'autostrada sembra circondata da vacche che ruminano un erba carica di nebbia e polveri sottili. Mio padre non mi ha detto che verrà, ma io voglio staccarlo da quel cazzo di televisore, voglio portarlo in città, voglio che mangi con me la roba spagnola che ho ordinato al ristorante vicino casa. Non doveva portarsi nulla con se, un pigiama, un paio di mutande e la pasta per la dentiera, doveva solo montare in macchina e conservare un po di appetito per quella roba spagnola che ci aspettava. In macchina non mi aspettavo di fare conversazione, viaggiavamo in silenzio, lui guardava davanti con la mano sul bracciolo e io guardavo la strada. Questo viaggio, da bambina, lo facevamo all'inverso, venivamo in campagna a mangiare, venivamo in campagna per stare con i nonni. Da bambina viaggiavamo tutti ammassati dietro io, i miei fratelli, i nostri pacchi e la rabbia che nelle curve, dai sedili davanti, sballonzolata a destra e sinistra per arrivare sino al lunotto posteriore. Ad un certo punto mio padre mi disse che voleva scendere, che stava male, non feci in tempo a mettermi in una piazzola e lui stava già vomitando. Gli chiesi se aveva bisogno d'aiuto, ma lui mi intimò di restare dove ero. Volevo fare l'artista per non fare la vita dei miei genitori, oggi voglio solo che mio padre smetta di vomitare, non voglio pensare a quanto sia stato inutile fare l'artista. Mio padre continuava a vomitare, si era appoggiato alla fiancata dell'auto che avevo preso a noleggio e vomitava, erano quasi le nove, a quell'ora i ragazzi spagnoli avevano già impacchettato la nostra cena, mio padre continuava a vomitare. Mancavano ancora una trentina di chilometri, stavo osservando mio padre vomitare chiusa nella mia auto a noleggio e scoprì che qualcuno, prima di me, aveva lasciato un pacchetto di sigarette mezzo pieno nel vano porta oggetti, ne fui felice, e senza pensarci inizia a fumare nuovamente.              

giovedì 18 luglio 2013

Scheda Anagrafica #1



































Scheda anagrafica è una nuova sezione letteraria del blog. Attraverso scheda anagrafica si censiranno una serie di persone e sarà data la possibilità a chi ne avesse bisogno, di leggere la biografia letteraria di alcuni personaggi la cui vita biologica è stata, per puro caso, trasformata in un soggetto narrativo. Come spesso accade in letteratura, il formato di scheda anagrafica nasce da un errore, in questo caso dall'incapacità di Minio Gerato, addetto all'ufficio anagrafe del comune di Sheltrasse in Sila, di adempiere correttamente al suo lavoro. Mino, il cui compito era quello di registrare nascite e decessi del piccolo paese della Sila, aveva una strana forma di handicap psichico che non gli permetteva di leggere e compilare moduli e schedari che richiedevano risposta secca. Mino si ostinava a compilare le schede con lunghe descrizioni narrative che, rilette oggi, hanno un sicuro interesse letterario. Scheda anagrafica è quindi la trascrizione fedele del lavoro dell'impiegato comunale Minio Gerato. Per motivi di chiarezza i testi sono stati epurati da errori ortografici e da incongruenze lessicali e si è provato ad accordare i tempi verbali.

La reliquia della santa

L'intervento a me richiesto da un ragazzotto alto quanto basta e completamente cotto dal sole su faccia, braccia e collo, dovrebbe, stando a quello che credo sia il protocollo in questo caso, spettare a qualcuno afferente all'archivio ecclesiale della diocesi/arcidiocesi di Munro. Nel nostro comune le doti dei santi si trovano incolonnate su quelle tavole di legno dipinte in modo da apparire ai più come lastre di marmo. Gli artigiani ingannano la mente di chi li crede abili scalpellini per mezzo dell'illusione della pittura. Tavole dalle venature grigie, azzurre e rosate distese su bianchi cerulei di minio e ossido di zinco che senza troppa fatica ingannano l'occhio pigro del fedele immediatamente assorto nella contemplazione della grandezza del santo. Quelle tavole dipinte non appaiono dissimili per qualità e forma alle stesse rocce su cui sono incisi i nomi di dignitari e imperatori di Roma. Questi uomini, questi abili truffatori, non si vedono costretti a scolpire a fatica nel duro della pietra i nomi, gli aggettivi, gli appellativi e tutte quelle qualità di quegli uomini noti agli uomini per le cose prodigiose che non sono comuni a tutti gli uomini. Nelle loro botteghe solcano con pace e con poco sforzo assi di fibra tenera, tavole profumate e lisce. Questi artigiani resistono al buio delle loro botteghe e ignorano l'umidità che dal fiume risale sino a Sheltrasse in Sila, ignorano affanni e reumatismi non si curano dell'artrosi e stringono nelle mani strumenti anneriti dal tempo fumando sigarette senza filtro sino ad incenerirsi, con il tabacco incandescente e scoppiettante, le nocche delle loro povere mani. Sono questi artigiani coloro i quali con i loro bulini o con gli scalpellini affilati, mettono in riga parole e numeri di encomio su tombe dipinte e belle che qui, tutti intorno, possono essere viste. Queste tenere lapidi offrono almeno per un attimo al visitatore la possibilità d'immaginare la grandezza del magnifico santo barrato da pietre marce. Della santa in questione, di una santa che ebbe a passare nella nostra cittadina in tempi recenti, si sa che si è meritata il titolo che porta grazie alle sue doti di salvatrice di quelle anime che agli occhi dei più sembravano perse. Si dice fosse in grado di sopportare il freddo e la puzza di case e baracche, parlare con donne e bambini. Donna di cui si preannunciava anche in vita la santità, santa che ascoltava gli irosi e sanava i dubbiosi. Non la si vedeva rallegrasi dei risultati ottenuti, aspirava al bene di tutti portando nel cuore la tristezza dell'utopia. Della santa si conserva un vasto corredo di reliquie, oggetti comuni che, pur non avendo nulla di santo nella loro banalità, divennero santi per transustanziazione nell'attimo dell'assunzione in cielo della donna. Unghie, capelli di colori diversi, scaglie di pelle, tessuti resistenti, tele finissime, lacci, cera di candele, grumi di sapone, denti, monete, fermagli, stringhe, molliche di pane, setole cascate da spazzolini, incrostazioni di sebo su manici e bastoni, bastone, polvere di magnesia, pastiglie, legacci, pelle di cotenna e tante altre cose di cui mi è stata detta l'esistenza, ma di cui non mi è stato elencato il nome. Il ragazzo con la sua faccia bruciata, la sua pelle rinsecchita e il suo collo striato come quello di un gallo è arrivato all'ufficio anagrafe richiedendomi di aggiornare le doti della santa e aggiungere una fiaschetta alla nota delle reliquie della stessa. Il ragazzo sostiene di essere un canoista di non aver mai faticato in vita sua se non con la pagaia e contro le rapide dei fiumi, dice di aver appreso tutto ciò che sa sulle onde d'acqua dolce dalla santa stessa. Il giovane sostiene che la santa fosse una esperta delle rapide, che domasse con destrezza ogni tipo di percorso, avversità e imprevisto. Nella fiaschetta vi è, a quanto detto dal giovane, un rigurgito acido della santa riversato dalla stessa al suolo dopo aver ingerito grande quantità d'acqua e pericolo a bordo della canoa di legno; sopravvissuta a una serie innumerevoli di onde, avrebbe, secondo il racconto fattomi, espulso di getto  ciò che restava della morte ficcandosi due dita in gola. Sostiene il giovane che l'atto dell'esser usciti incolumi dal fiume in quella circostanza e con quelle condizioni, non può essere ascrivibile alle sole doti - pur eccellenti  - da canoista della santa e che tutto deve essere considerato un evento che lui, a mio parere con una certa superficialità, definisce miracoloso. Aggiunge inoltre il giovane che, nello stesso momento in cui la santa riversava liberamente al suolo i residui liquidi dello scampato pericolo sotto forma di rigurgito acido,  egli stesso, illuminato e guidato da una forza - a cui non riesce a dare un nome - si è sentito in obbligo di raccogliere l'evidenza dell'accaduto nella sua fiaschetta personale. Detto ciò mi sento costretto a rimandare nelle mani di qualcun altro l'accertamento e l'individuazione - tra le molte doti della santa - di capacità  nella pratica della canoa. Inoltre, dato per certo che la scienza - anche quella fenomenicamente banale - non rientra per nulla tra le mie conoscenze, chiedo a chi ne abbia competenza di analizzare il contenuto acido del flacone di cui il ragazzo resta unico custode. In qualità di impiegato dell'anagrafe posso solo sostenere che il bruno della pelle del giovane potrebbe essere ascrivibile ad una continua, duratura e passiva esposizione al sole, esposizione a cui sono soggetti tutti coloro che sono soliti usare la canoa canadese. 

Minio Gerato