sabato 17 gennaio 2015

I debiti del bere

































Si dicevano sempre addio, lo facevano ogniqualvolta si lasciavano. Lo facevano per gli incontri occasionali sulla strada verso il panettiere o mentre sostenevano di correre a comprare il latte e tutte quelle cose di cui dicevano di aver bisogno per sopravvivere. Si dicevano addio perché era il modo migliore per essere felici di ritrovarsi. Bene, si dicevano addio anche perché non potevano aspettare troppo prima di correre verso quello di cui avevano bisogno realmente, nè pane nè latte, ma loro si dicevano addio per ritrovarsi con la loro solitudine accompagnati dai loro bicchieri di vino. Si erano conosciuti dicendosi addio, guardandosi negli occhi per un istante, alla fermata del bus, e capendo che il modo migliore per celebrare quell'incontro e per augurarsi quel distacco fosse dirsi addio. Lui capitava spesso nei bar che lei frequentava ma mai nel momento in cui lei era presente, d'altronde lei usciva spesso dalle cantine in cui lui stava per entrare. Si mentivano, si erano sempre mentiti, e le rare volte che si erano fermati a parlare di loro si erano solo confessati delle cose che non erano accadute davvero. Lui diceva di amare le lunghe colazioni salate, lei di passare i sabato pomeriggio a leggere letteratura svedese. Alle persone dichiaravano di essere dei perseguitati politici, afflitti dal peso delle idee, la gente non credeva a una delle loro parole e immaginava che l'unica afflizione a cui quei due andavano in contro era quella di non potersi permettere una nuova boccia di vino. Lui e lei non bevevano mai insieme, ognuno per conto suo e tutti e due separatamente. Nella loro completa solitudine bevevano quanto più gli era possibile e quanto più le loro finanze potevano offrirgli. Come ho detto si mentivano su tutto, ma sopratutto si mentivano sul bere. Qualche volta lui, che tra i due era il più ingenuo, confessava parzialmente di aver bevuto un bicchiere e lei, che tra i due aveva capito meglio come funzionano le brutture della vita, replicava che erano quasi otto anni che non toccava un bicchiere. Lui e lei vivevano in case non molto distanti tra loro, agli amici dicevano di essere perfino innamorati, ma chi li conosceva sapeva bene che non si erano mai nemmeno accarezzati. Un giorno, non lontano dalle loro case, lui fu scaraventato fuori da un bar dove stava bevendo lo stesso bicchiere da più di due ore. Il proprietario del bar l'aveva visto contorcersi sulla sedia nel tentativo di tenere a freno quella sua lingua ruvida e torturata dal languore, l'aveva visto trattenere le lacrime difronte al liquido rosso che scemava davanti a sé. Stava provando a non bere aspettando che qualcuno nel bar iniziasse ad offrire del vino per celebrare un qualsivoglia evento a cui lui avrebbe senz'altro contribuito con i migliori auguri di cui era capace. Quella sera, in quel bar, nessuno sembrava aver bisogno di bere in compagnia, ognuno affondava la bocca nella celebrazione aspra e solitaria del bicchiere tenendosi alla larga da tutte quelle cose che possono entrare da per tutto ma di certo non nel foro circolare in cui cascavano i loro occhi. Lui bevve ciò che gli restava nel fondo del bicchiere precipitando gli occhi sull'asta che ne sorreggeva il collo e capitombolando per disperazione sul legno macchiato dalla cenere e dal fumo dei millenni. Quando si accorse di aver vuotato tutto quel che gli era rimasto, iniziò a supplicare il barista di dargli qualcosa da bere di fargli credito o di accettare in permuta quella che lui diceva essere una sciarpa in cashmere principe di Galles. Il barista era un uomo senza segreti e che conservava tutto ciò di cui si ricordava nella pancia. Negli anni aveva imparato diverse cose sui debiti. Sapeva che nessuno mai avrebbe pagato quelli da gioco e che nessun altro ancora avrebbe saldato i prestiti, ma sopratutto era certo che i debiti del bere erano quelli che scomparivano dalla memoria dei debitori come il vino dai loro bicchieri. Lui si ritrovò fuori dal bar macchiato di vino e con il volto insanguinato, lei per caso stava passeggiando con in mano il fiasco vuoto di un pomeriggio intero. Nell'istante in cui si videro negarono entrambi la possibilità d'aver bevuto, lei disse che gli sembrava di aver sentito qualcosa bruciare nel vialetto del suo giardino e di essersi precipitata a vuotare una bottiglia d'acqua su quello che temeva potesse diventare un grosso incendio. Lui disse che aveva a tal punto corretto i sui testi sulla guerriglia di strada da non essersi accorto dell'inchiostro che dalle dita gli era scivolato sul petto e sul colletto della camicia. Quella volta si dissero addio quasi immediatamente, le loro menzogne sembravano plausibili come sempre, ma entrambi sapevano che come tutte le menzogne anche le loro erano fragili e succubi del tempo. Quella storia andò avanti svariate altre volte, tra lui e lei nessuno ammise mai all'atro ciò che era chiaro ad entrambi, la gente continuò a chiamarli ipocriti e menzogneri, ma qualcuno, io ne sono certo, imparò ad apprezzarli e a capire che erano solo dei liberi poeti e non esclusivamente degli amanti superficiali.

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