lunedì 31 dicembre 2012

Sul finire una storia d'amore
























L'ultimo ad entrare nell'ascensore fu un uomo sulla quarantina, aveva i capelli grigi tagliati a scodella, l'unghia dell'indice destro ingiallita dal fumo del tabacco e la camicia fuori dai pantaloni; aveva corso e respirava a fatica. Il pannellino numerato con i bottoncini illuminati segnava la scaletta delle prossime fermate, la gente si ignorava, c'era chi si ispezionava il sudiciume sotto le unghie della mani e chi si guardava i piedi con l'attenzione smodata che si riserva alle cose viste per la prima volta. Pietro scese all'ultimo piano con lui restarono l'uomo con i capelli a scodella e una ragazza con una maglia bianca da cui traspariva una biancheria intima merlettata. Il locale era pieno di gente, c'erano gruppetti di persone assiepate intorno a dei punti d'appoggio ed altri gruppi, più grandi ed eterogenei, al centro della pista. Le persone si spostavano in massa come placche tettoniche: scivolavano, si sovrapponevano e si mescolavano con un ordine che pareva prestabilito. La musica copriva qualsiasi tipo di conversazione che non fosse urlata, ma non riusciva a tappare o a distruggere i pensieri. Erano passati quasi due anni, era proprio l'ultimo dell'anno, erano stati bene, nascosti dal mondo, rinchiusi in casa, a fare l'amore a bere, a dormire l'uno sull'altra a svegliarsi, a rifare l'amore, camminare al freddo della mezzanotte già passata, stappando la bottiglia di spumante con piacevole ritardo. Pietro voleva ricordarsi di quel tappo, aveva l'immagine fissa del suo rimbalzo, tra una statua ed una scalinata, in quella piazza deserta. Davanti ai suoi occhi la ragazza con la biancheria merlettata agitava la testa al ritmo della musica, lui vedeva, ma non capiva, ricordava il viaggio in macchina tra le montagne, qualche lacrima e le interminabili confessioni. Cosa resta di una storia d'amore, dove finisce tutto l'amore non consumato, non usato, non finito? Le teste si agitavano sempre di più, attratte al cielo dallo scandire del tempo, alla rincorsa del nuovo anno. Si erano detti tante volte volte addio, ma forse quelle due sillabe non avevano molto significato per loro. Quel giorno di due anni fa si erano rinchiusi in una stanza fredda, in un posto isolato, tra le coperte pesanti e, rimbalzando su un materasso a molle, si erano pianti in faccia, si erano amati in faccia. L'uomo con i capelli a scodella non aveva quarant'anni, aveva il volto segnato, ma non arrivava a trentacinque, era di fianco alla ragazza con biancheria merlettata, sembravano contenti, sorridevano e le loro teste ballavano con un accordo che lasciava presagire qualcosa che in ascensore era del tutto imprevedibile. Il tempo si stava assottigliando, anche quella serata, quel momento che Pietro aveva deciso di dedicare all'oblio si era trasformato in una campagna di ricordi, il conto alla rovescia stava per cominciare, sul pannellino dell'ascensore si rincorsero i numeretti illuminati: 3-2-1. Buon anno!

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