domenica 13 febbraio 2011

Treno interregionale 1898 Roma-Napoli
























Quell'uomo sulla cinquantina viaggiava con una valigetta in pelle consunta, una 24ore che, stando all'usura degli spigoli, sembrava aver fatto molti viaggi. L'uomo si accomodò al suo posto svestendosi parzialmente della giacca; una camicia mancante di un braccio venne alla luce. Con fare deciso e automatico, tipico dei gesti abitudinari, l'uomo strappo via il suo braccio  - protesi - con l'altro arto per poi stringerlo tra le gambe. Alla vista di quello spettacolo diedi un tocco con la mano a mio padre che sobbalzò con uno scatto dallo stato di semi intorpidimento in cui era cascato. Senza dare tanto a veder feci un cenno con la testa indicandogli quell'uomo alle prese con la rimozione di quel suo arto meccanico. Mi padre diede uno sguardo fugace per poi ritrovare la posizione di riposo e ripiombare in un sonno tranquillo, io invece, restai a guardare quell'operazione che mi trasmetteva un forte senso di dolore; sembrava come se riuscissi a provare la sofferenza conseguente all'ampliamento dell'arto. Ebbi un piccolo mancamento, cercai di non guardare, sprofondai la faccia nell'imbottitura dei sedili dell'interregionale 1898, che mi restituirono immediatamente un zaffata di  sebo rancido. L'olezzo disgustoso acuì il mio stato di nausea; aprendo gli occhi mi ritrovai tra due scritte nere e ben marcate: TROIA LAURA,  scialbata con un TROIE LORO. Le scritte erano incorniciate da una serie di peli o capelli Cimotrichi che mi si incollarono alla lingua nel momento in cui cercai di apportare  una grossa quantità d'ossigeno ai polmoni con la speranza di ricacciare indietro la nausea. Lo stato di panico cessò nel momento in cui mi voltai a soddisfare la mia curiosità. L'uomo stava riponendo l'esoprotesi in quella che io, inizialmente, avevo identificato come la custodia del suo violino. La valigetta in cuoio nero, serrata da due grosse clip in ottone, venne distesa sul sedile precedentemente occupato dal viaggiatore e dischiusa. L'interno della custodia rifletteva in pieno le caratteristiche delle custodie musicali come il rivestimento in panno di velluto rosso e la forma ergonomica in cui alloggiare lo strumento. L'uomo notò la mia sbirciata e contraccambiò la mia occhiata  interessato e furtivo, con un sorriso distensivo. Ritrassi lo sguardo e nel momento stesso che i miei occhi si riposarono sulla scritta TROIA LORO  mi sentì chiamare.

- Ragazzo, ragazzo - ripeteva l'uomo senza braccio dal suo sedile - non preoccuparti, non sono cose che si vedono tutti i giorni, non aver paura avvicinati se vuoi vedere come si applica una protesi in poliuretano ad un moncherino.

Attraversai il corridoio del treno lanciando un occhiata a papà assopito e contorto nel suo sedile. Senza un motivo apparente accettai l'invito di quello sconosciuto. Arrivato dinnanzi al suo sedile restai in piedi guardando quell'operazione che aveva smesso di essermi insopportabile. L'uomo, invogliato a mostrarmi quello spettacolo tanto comune per la sua quotidiana mobilità articolare, reinnestò la protesi a ciò che restava del suo braccio. 

- Guarda è facile - mi fece - si indossa questa calza sull'arto residuo, ecco proprio così - infilando una reticella a maglie strette in fibra traspirante sul moncone che gli si muoveva mozzo e veloce in uno spazio in cui si è abituati a vedere l'avambraccio - poi si passa all'istallazione vera e propria.

Con disinvoltura disarmante, lo sconosciuto disserrò la valigetta estraendo nuovamente la protesi adagiandola nell'incavo dedicato al moncon e facendo attenzione che la calza non si riavvolgesse su sé stessa. Quando l'incavo fu completamente occupato dalla carne dell'uomo, pensai alla procedura di calco con cui gli artigiani che avevano costruito il nuovo braccio, avevano misurato la carne restante che partiva dalla clavicola. Mi immaginai una procedura laser, uno scanner a tre dimensioni capace di fornire un disegno trigonometrico dell'anatomia restante dell'uomo. 
Esitai a chiedergli la procedura di calco, ma lui, quasi leggendomi la domanda negli occhi disse:

- Il calco me lo hanno preso con una sostanza collosa estremamente densa, una sostanza mille volte più densa del gesso e in grado di restituire, in pochi attimi, un calco fedele di qualsiasi cosa sui cui viene posata.

Quel procedimento meccanico in realtà mi rassicurò notevolmente, sorrisi, ma senza darlo a vedere, della mia idea iper tecnologica. Dopo aver alloggiato alla perfezione l'arto meccanico su ciò che restava del vecchio braccio in carne, l'uomo serrò gli ancoraggi, dandomi dimostrazione immediata dell'ottimo funzionamento della nuova creatura biomeccanica.  

Perfetto - disse.
Perfetto - gli feci eco.
L'uomo si risistemo al suo posto, evitai di guardarlo per il prosieguo del viaggio, papà continuava a dormire, gli occhiali gli restavano perfettamente apposti agli occhi come se non li avesse, un sonno tranquillo, calmo, un sonno che mi fece venir voglia di dormire.

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