domenica 12 dicembre 2010

Biella
























 
Chiavazza





Il bagliore puntiforme delle luci posteriori delle automobili ferme in coda mi segnavano gli occhi tratteggiando lo spazio e appiattendo le distanze. Stringevo il cappotto, troppo leggero per la stagione, fasciandomi come un bruco; seguivo i suoi passi senza fiatare, senza guardarla, ascoltando semplicemente il rumore che facevano sull'asfalto. Le luci scomparvero quando d'un tratto voltammo a destra e semplicemente ci trovammo in una strada buia. Una grossa cisterna, un volume alto e compatto, emergeva alle spalle d'un muretto. Uno spazio desolato, occupato dalla sola imponenza del ferro e della ghisa, e da erbacce seccatesi al gelo della mattina. Un fessura alle spalle della piazza della della stazione sembrava condurre direttamente all'interno di quel parco d'erbacce, il vialetto in terra battuta era cosparso di fazzoletti di carta e condom. La transluminescenza azzurrina d'uno schermo a contatto con la stoffa bianca della borsa di Carla attrasse la mia attenzione e ridiede un soggetto al mio sguardo, altrimenti immerso nel buio.

- Dobbiamo andare da un'altra parte

- Io invece penso che tu non sappia un cazzo di dove dobbiamo andare

- E io, invece, che puoi restartene qui a farti una sega.

L'onda lunga dello spettro azzurro dello schermo del suo cellulare continuo ad avvertirci che c'erano notizie incombenti, Carla interruppe la comunicazione pestando un tasto attraverso lo spessore della borsa. Accelerò la cadenza dei suoi passi in direzione dell'uscita, in silenzio ci dirigevamo altrove.

Poker

Era ancora fuori, lo era a tal punto che non s'accorgeva che pisciare sul panno verde del tavolo non era da cristiani. Il cinese - non ricordo se fosse cinese, ma quella sera le capacità percettive del mio apparato visivo non potevano essere di garanzia - si avvicinò al tavolo e lo prese per le gambe. Un uomo schienato e ridente che si dimenava facendo leva sulla sua colonna vertebrale, una tartaruga con la barba di due giorni e l'alito pesante. Erano passate delle ore ma non sembrava alleviarsi l'effetto, ridevo nel vedere il cinese, o forse solo un uomo dal taglio degli occhi a mandorla, afferrarlo e trascinarlo giù. Gli schizzi di piscio colpirono le slot di mezza saletta. Ridevo, ma poi le urla e le risate mi si fermarono in volto, le immagini scorsero davanti ai miei occhi mute e senza senso; il balletto nudo e la lotta interculturale tra Mauro e il cinese non sembrava attrarmi ulteriormente. Il gelo, l'indifferenza, l'immagine di lui che casca dal con la faccia nel suo piscio.

Cervo

Le foglie ricoprivano le pietre tanto da mascherarne la forma, la massa marrone secca era appoggiata ad uno strato umido di vecchie foglie e arbusti ammuffiti. La stratificazione vegetale trasformava gli spigoli e le crepe minerarie in letti morbidi e scivolosi. Avevo la busta ancorata alla mano, la plastica si avviluppava al polso stringendomi la pelle che trasudava come in una serra. La marcescenza dell'aria trasformava il rumore dell'acqua in qualcosa di diverso e ampliava la sensazione di freddo.

- Dovremmo ritornare indietro
- Non dovremmo passare di qua

Sul suo volto vidi l'imbarazzo dell'incertezza, il pallore e la sua dentatura brillante nell'oscurità del sottobosco mi fecero capire che ci eravamo persi.

Silocybe Semilanceata

Un morso, amaro, la masticazione coatta e il cappello rotto e spalmato allo smalto dei denti. Il succo aggrediva la sensibile mucosa delle gengive e le fibre si sfilacciavano sotto il battere dei molari e premolari.

Bar Savoia

Il discorso languiva, due baffuti avventori attendevano il loro turno per approvvigionarsi di snack salati, il barista ricopriva diligentemente il contenitore con le patatine ad ogni manata. Carla era ancora distesa sulle mie gambe, un bicchiere di vino a metà ci permetteva di occupare una sedia e poggiare i gomiti su di un tavolino. Un uomo alto e con un cappello da boscaiolo, orecchie coperte e visiera in flanella, entrò nella stanza salutando tutti quelli al bancone e lanciando uno sguardo di studio a noi che occupavamo l'unico tavolo del bar. Carla rantolava dal dolore, ai suoi lamenti si aggiunsero le voci dei quattro uomini al bancone impegnati in una discussione sui passaggi di stato degli elementi, il boscaiolo mi sorrise, potevamo permetterci un'altro bicchiere.

.

- Io la so come va la storia, loro partiranno, loro staranno al caldo e noi dovremmo arrangiarci

- Il tipo poteva spaccarci il culo
- …ogni uno pensa a se stesso, ogni uno si fa i cazzi suoi

- … mi sono rotto un po il cazzo di tenerti appeso alle palle, io sono uno tranquillo, puzziamo già di merda è non è necessario farlo notare agli altri

- … io se faccio una cosa, se la faccio, penso sempre agli altri, al gruppo; dove è Carla e quell'altro la, quell'altro, come si chiama quell'altro?


La dovevo mollare. Il dito al freddo del vento si arrossava, la circolazione sanguigna aumentava il suo per reagire alla rigida stretta della colonnina di mercurio, il pollice si inarcava formando una virgola tra la mia mano e il mondo. Le auto passavano alzando il vento che ci sbatteva in faccia polvere e residui di gomma, il margine di via Ivrea custodiva i rigetti meccanici di centinaia di viaggiatori frettolosi. La fiat Tipo rallentò sino a singhiozzare, Carla si avvide della modifica temporanea della realtà, alzò la testa e lanciando i suoi due occhi smorti sul sedile anteriore dell'auto. Una cappello incollato ad un testa grossa e la manica di una giacca in jeans foderata di lana sintetica ingiallita dal fumo e dal tempo, si propesero verso la maniglia della portiera per azionarla. Il boscaiolo del bar Savoia ci sorrideva offrendoci un passaggio, Carla sedette in avanti io mi rintanai alle sue spalle sul sedile posteriore. La marcia silenziosa di un accordo mai preso si interruppe nell'attesa che un gruppo di studenti salisse a bordo di una corriera. I resti di un garage si ammucchiavano davanti ad una serranda grigia e con delle grosse macchie di ruggine, un distributore per le sigarette, non più in uso, pendeva in avanti a tal punto da farmi pensare che di lì a poco sarebbe precipitato sulla carcassa di un audi incidentata. Tirai la leva di scatto, la testa, le ginocchia e poi i piedi saldi in terra, feci una corsa incollandomi all'ultimo degli studenti in fila per salire, Carla dormiva, oppure, semplicemente, non riusciva a seguirmi.



- Fanculo Mauro, tu e le tue teorie, crepa, soffoca col tuo piscio, in realtà non ti interessa di niente, non mi entusiasmi per niente con le tue verità assolute; ti lascio nel freddo, non me ne frega un cazzo se resti bagnato dal tuo vomito. Mi interessa di me e sono onesto, te lo dico: ti mollo; va a fare in culo tu e l'importanza di fare gruppo.

La strada discendeva leggermente in direzione della stazione, stavo meglio, in poco tempo sarei andato via da lì, da solo: unico, con la sua proprietà.








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