mercoledì 3 novembre 2010

Torino


















Facevano sempre discorsi brutti in bar bellissimi, come al bar Motta di piazza Statuto, un posto con un solo cameriere che faceva tutto: serviva i due piani e con la telecamera, puntata verso il pavimento in fibra laminato, teneva sottocchio quelli che non riusciva a controllare agitando la carpa pelata tra lo schermo a otto pollici e la cassa. Stavano discutendo di cose che, ad ogni parola, devastavano sempre più la loro tranquilla bevuta; i problemi di salute di lui, le vie del cuore di lei. Le parole si attaccavano come didascalie ai vasetti oblunghi in vetro entro i quali giacevano fiori secchi spruzzati con colori spray e ricoperti di brillantini. I bicchierini di tequila divennero troppi: chiesero una bottiglia. Il cameriere gli mollò uno sguardo in cui si leggeva tutta la sua sfiducia nel genere umano, un urlo dal piano inferiore costrinse l'uomo, glabro e solerte, a spostare la sua attenzione altrove. Un nero all'ingresso stava alzando la voce con un frocio sudamericano che, investito da una marea di parole sputate in un italiano gutturale e spurio, si difendeva schermandosi il volto con entrambe le mani. Il cameriere afferrò una scopa e, tenendola stretta nella parte alta del manico, iniziò a brandirla verso i due litiganti tanto da spingersi fuori al suo locale.

-Cazzo amico sono un cazzo di cliente - fece il nero, mostrando il suo drink - ho diritto a stare in sala. 
 -Hai il dovere di non piantar grane - disse il cameriere protetto dalla sua scopa.
 
Aveva seguito il cameriere e, approfittando della baruffa combattuta con materiali per le pulizie, aveva preso due bottiglie di vodka.
 
-Andiamo - le disse - finiamo da un'altra parte.
 -Cosa?
 -Ti ho detto di seguirmi.
 
In basso la situazione era peggiorata; le bottiglie tintinnavano nella borsa in tessuto di lei, il nero aveva oramai afferrato la mazza della scopa e, facendo forza sullo spazzolone, spingeva il cameriere all'interno. I ragazzi filarono via passando di fianco ai litiganti; il cameriere vedendoli rimase indeciso, per un'attimo pensò alle 6 tequila non pagate, ma allo stesso tempo decise di salvarsi il culo dalla furia dei due clienti, il frocio, infatti, s'era schierato col suo vecchio persecutore scalciando in direzione del cameriere con una grazia tutt'altro che femminea. Prima di immettersi in corso San Martino i ragazzi si voltarono verso il bar, la desolazione plumbea di novembre gli permetteva di sparire con le due bottiglie, condannando, la carpa pelata del cameriere a subire in solitudine un pestaggio nel suo bar .
Il mattino era arrivato in fretta, erano entrambi sbronzi, la notte l'avveravano passata a correre dietro al collo delle due bottiglie; a piazza della Repubblica - schienati su due cartoni di patatine Pai - potevano sentire il fiotto di piscio di un marocchino a poca distanza da loro. Il collo; sarebbe impazzito prima o poi. Il martellio costante e il pulsare improvviso dei nervi gli provocava capogiri molto più forti di quelli della sbronza; gli schizzi rimbalzavano sulle pareti di vetro del mercato e andavano a depositarsi irregolarmente sulle scarpe tremolanti del marocchino. Aveva gli occhi chiusi, era lì che sorrideva come una cretina, la gola aperta ai lampioni e il sangue marrone che, nella zona liminale della macchia, andava seccandosi contrastando con la felpa rossa e profumata. Il cane stava schiumando, la saliva bianca e secca si impastava con il sangue rimasto attaccato ai peli del muso. Quando lui aprì gli occhi era troppo intontito dal dolore, vide il marocchino urlare, un grido senza fonesi, e dirigersi verso di loro. Quando il calcio colpì le anche del pastore tedesco i segni di paresi muscolare erano già sopravanzati. Gli occhi di lei erano ancora chiusi; la bestia non si dimenò ulteriormente, poi fu il coma e la morte.




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