sabato 18 settembre 2010

Schwarzwald



















La pioggia ticchettava su di un tronco frazionandosi in tanti piccoli coni trasparenti. Sara tremava per il freddo e, a giudicare dall'umidità che si accumulava, polverizzandosi nell'aria, il freddo sarebbe peggiorato da lì a poco. La linea sconnessa che si estendeva davanti ai nostri occhi scompariva d'improvviso nella massa serrata di conifere. Sara continuava a scuotersi senza riuscire a controllare le scosse di freddo, i recettori di temperatura la tenevano schiava di una danza ridicola. Il fango e le foglie si attaccavano alle caviglie e i pantaloni corti erano zuppi, una leggera brezza ci scosse con una semplicità disarmante. Il paesaggio era ingoiato in una cuspide nera; un senso di claustrofobia s'impadroniva di noi ad ogni passo. A destra, lungo il sentiero, una massa informe di pietre ricoperte da un tappeto spesso di muschio, si inerpicava sino all'inizio della luce, la collinetta era tenuta stretta dalle radici degli alberi.
Il piede affondo leggero tra foglie e muschio, Silvia mi vide cascare, la caviglia, imprigionata in un buco tra due massi, roteo sino al suo massimo grado di torsione, poi un fiotto di calda urina si unì alla pioggia che già inzuppava i miei pantaloni militari.

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