sabato 8 maggio 2010

Malcontenta





















Quando l'11 mi arrivò ad un palmo di naso, l'ipod ebbe come la decenza di saltare da quel grido ossesso, permettendomi di sentire il rombo di lamiere e nafta dell'autobus. La linea 11 era quella in cui impiegavano le vetture peggiori, un'esercito di veicoli buoni solo per lo sfasciacarrozze, a disposizione degli operai e delle puttane. Una nebbia fitta e penetrante nascondeva completamente i gradini d'accesso all'abitacolo; salii in bus facendo ricorso alla memoria e all'abitudine. Ero in mostruoso ritardo, il magazzino era ancora chiuso e decisi di fottermene. Ero l'unico a viaggiare a quell'ora, le persone serie, quelle che si spaccavano seriamente la schiena, erano già al posto di lavoro. L'obliteratrice seguiva le vibrazioni ipnotiche del motore diesel oscillando come un sismografo in una attività. Scesi al chiosco del bar appena prima di Malcontenta, nel punto dove il  canale fa una curva secca e si dirige al petrolchimico. La strada potevo solo immaginarla, ma stranamente riuscivo a percepire la roulotte in cui Ramona si riposava dopo una lunga notte di lavoro. I cani messi a guardia dei capannoni urlavano alternando armonicamente il ritmo dell'abbaiare alle vibrazioni dei mie passi. 
Chiara era già in ufficio; non riuscivo a vederla, ma sapevo che era già barricata dietro alla scrivania, incollata al termosifone. Di certo il bagliore dello schermo le proiettava in volto una venatura bluastra che non riusciva a rendere spettrale il suo bell'aspetto pallido. Le feci un saluto dalla vetrata e passai dritto dal retro verso il magazzino. I rumeni erano già mezzi sbronzi; tra rutti e urla cercavano il modo per alleviare quel senso di niente che incombeva nel capannone.
Quadri, statue,calchi, bassorilievi, trumeau bureau, cassoni, credenze, divani, bergère, panchetto, tavoli, sedie,  specchiere, consolle, appendiabiti,  tappeti, lampadari, abat-jour, applique, lumi, lampade, candelieri, piatti, argenti, posate, orologi, pendoli, marescialla da tavolo, acquasantiera, gusci in tartaruga, corni, avori, madreperla, portantine, elefanti e mori reggi cero. Una wunderkammer disordinata e impolverata, adagiata in capannoni in prefabbricato con vista sulla A4. Di solito stavo in ufficio a Venezia, ma a volte mi spedivano in terraferma a cercare cose. Nessuno voleva andarci in quei capannoni, io invece mi ci divertivo, ci stavo bene, mi nascondevo in quei pezzi di storia in vendita e mi sottraevo al presente. Quella mattina ero in magazzino perché verso le 10:00 sarebbe dovuto arrivare un corriere da Linz a ritirare alcuni oggetti e dei dipinti. Il camionista mi chiama verso le 9:45 è in ritardo, parla inglese con forte accento tedesco, ma a me sembra già tanto.

- Fgrom Veneziia to Marcghera and fgrom Marcghera direction Fusina… gut
I twill be in Malcontendta in on our. 

Nel momento in cui metto giù vedo una chiamata in attesa, è l'ufficio, rispondo: una coppia di coniugi friulani sta per passare a ritirare la loro merce invenduta; riaggancio e vedo la sagoma blu di un furgoncino farsi spazio tra la nebbia.
I rumeni mi si avvicinano, inizia il trambusto linguistico e il passamano degli oggetti. La signora, una donna sui sessanta, tiene una lista delle cose che deve recuperare, e mostra di non fidarsi della mia bolla di accompagnamento. Il marito ha noleggiato un furgone che però, non riesce a manovrare. I rumeni imprecano in lingua sorridendo e fantasticando sulle virtù non ancora deste della bella signora. Alla fine manca un pezzo, un cache pot in rame svasato, un oggetto da niente, ma la signora impreca e sbraita. In realtà sta inscenando un miserrimo tentativo di recuperare un po di soldi da questa sua disastrosa sortita d'asta. Faccio il vago e le do rassicurazioni; in realtà non ho nessun ricordo del cache pot. La signora, oramai furente, minaccia e invoca l'intervento delle forse dell'ordine; porto all'estremo la mia espressione di costernazione. Finalmente la donna si calma sale nel suo veicolo a noleggio pronta per tornarsene a Pordenone. Il furgone azzurro, in una retromarcia balbuziente, urta uno dei marmi antichi posti sotto sequestro dalla soprintendenza. La Venere vicentina attribuita a Girolamo Pittoni, casca spaccandosi la testa in due grossi frammenti  minerari. Quando sento la capoccia toccare il suolo e avverto il tonfo sordo dei due minerali a contatto, chiamo in ufficio.
- ci sono guai, fate venire qualcuno…
La signora scende imprecando
- E' tutta colpa sua - volgendosi a me - mi ha innervosita.
- Forse ha ragione signora - le faccio sarcastico -  fatto sta che lei ha appena rotto dei marmi posti sotto sequestro e che io è da sta mattina che la trattengo; quindi, se permette, vado al cesso.
Il bagno dei rumeni era completamente allagato di piscio; quel liquido giallo fermentato al chiuso delle mura esalava un tanfo disgustoso. Trattenendo il respiro e voltandomi per non offrire il naso a quella fogna inizio a pisciare; chiudo gli occhi sento sgorgare dall'uretra un fiotto grosso di piscio che si tuffa schizzando tra altro piscio e ceramica incrostata. Soddisfatto, riapro gli occhi e vedo il cache pot della signora usato come fioriera e messo a lato della turca.
- Signora ho una buona notizia, ho qui il suo cache pot…
La tipa incazzata nera mi manda a fare in culo stringendo a se quel catino in rame ossidato dal piscio.

    

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