mercoledì 27 giugno 2012

Santa Maria Capua Vetere






































Il passaggio a livello


La sbarra del passaggio a livello si abbasso appena svoltammo nel vicolo e due macchine si incolonnarono a un passo dal nostro culo. Massimo voleva fare inversione ma non c'era spazio di manovra e così dovemmo aspettare.
Spegni sto motore - gli dissi.
L'aria del mattino sembrava non esser mai arrivata, stavamo in macchina dalla sera precedente e la luce che adesso filtrava dal parabrezza appariva come l'ennesimo artificio della segnaletica verticale.
Nel bagagliaio c'erano ancora gli avanzi della cena, tre polli arrosto col passaporto toscano  scampati alla furia della fame notturna. L'eredità era al sicuro sotto la coperta, adagiata sul sedile posteriore.
Sei candelabri d'argento, tre quadri pieni di crepe, cose vecchie, ma sopratutto quattro mazzette di euro che lo zio conservava in casa e che il notaio mi aveva passato nel palmo della mano destra senza dirmi nulla se non:
Undicimilasettecentosessanta.
Era morto solo lo zio, diceva che il Piemonte era la regione più bella del mondo, ma a nessuno di noi invece, passava per la testa di andarlo a trovare. Era solo, ma non ci ha fatto pesare la nostra indifferenza, nel momento della firma, nel momento della stesura testamentaria gli è venuto in mente il mio nome, il nome del suo piccolo e unico nipote maschio.
Avevo chiesto a Massimo di accompagnarmi avevo paura ad andarci da solo, avevo paura che prima o poi i Garelli - quelli a cui dovevo un sacco di soldi - m'avrebbero trovato, avevo paura che quell'eredità, quell'ossigeno, diventasse un'esca troppo ghiotta per quei pescecane. Mi immaginavo avvinghiato alle mie banconote da cento e da cinquanta sparire nei succhi gastrici di Sfreggiatiello e Carminuccio. Massimo mi dava sicurezza, era uno che non parlava e che per trecento euro e qualche piatto di porcellana si sorbiva millequattrocento chilometri.
Il treno passò di corsa alzando gli stracci e i sacchetti di plastica accantonati sul lato della strada, quando ne vidi sparire la coda la luce del semaforo cominciò a lampeggiare. Una campanella con un tintinnio veloce accompagnava l'ascesa dell'asticella bianca e rossa, ma  in quel momento sentii come uno strano prurito, come se a quel viaggio, a cui mancavano solo nove chilometri, fosse stata tagliata la gola di netto. Le due macchine ci affiancarono e i vetri dell'auto di Massimo schizzarono ovunque, il motore era ancora spento e la sbarra a metà del suo tragitto. Ci scaraventarono fuori dall'auto poi avvolsero tutto nella coperta e salirono sulle loro auto, la sbarra sollevata, la strada spianata, l'aria inaspettatamente fresca.



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