In autunno faceva il
conto con le foglie ammucchiate davanti casa, coi capelli sul cuscino
e poco altro ancora; d'inverno coi tipi del gasolio, con la condensa
agli infissi e con le offerte al supermercato; la primavera e
l'estate erano tutto sommato uguali, insomma, gli anni passavano
anche senza chiederlo e la casa di proprietà gli garantiva un tetto
e un recinto fatto di mura e poco più.
Quella mattina si alzò
presto per andare al cesso, la schiena gli faceva male e la macchia
d'umidità in camera da letto stava quasi per inghiottirlo. Dalla
strada poteva sentire qualcuno bisbigliare proprio davanti alla
finestra del salotto. Un fiotto giallo come il miele, schizzò via
dal cesso colpendo le piastrelle e un tappetto oramai zuppo,
guardando in basso pensò ai piaceri della vita coniugale. Andava
tutto bene, era tutto come al solito, ma qualche cosa fuori dalle sue
finestre si muoveva con troppa vitalità, erano da poco passate le
otto e una escavatrice piazzò il suo grosso culo
metallico proprio di fronte alla finestra del soggiorno. Il terreno
alle spalle della sua casa, quasi tre ettari di sterpaglia e topi,
stava per essere trasformato in un cantiere: tre escavatrici, una gru e un gruppo di
uomini sboccati, stavano per invadere la tranquillità di quelle casette
monofamiliari.
I primi tempi non furono
semplici, tra la polvere, le lattine di birra, le cartacce e gli
operai in giro a cacare, Marco fu costretto ad una convivenza
indesiderata. Spesso rimpiangeva i vecchi tempi, era meglio avere
gli sterpi e i topi come vicini che quel cantiere, i topi – pensava
– erano meglio degli uomini se tenuti fuori dalla porta di casa.
Col tempo le cose si
regolarizzarono, Marco dovette solo sforzarsi d'aggiungere
alla sua lista delle cose dell'inverno la polvere e il cantiere.
Passava ore ed ore a guardare quel pezzo di mondo che cresceva
proprio fuori dalla sua finestra, studiava le traiettorie delle gru e
registrava i rumori delle macchine. Marco, a modo suo, si era
affezionato a quell'attività che gli imbrattava il divano e gli
ostruiva le narici del naso. Guardava l'incedere lento dei lavori con
la stessa attenzione senile che gli anziani prodigano nello studiare
i fori sul manto stradale, aveva anche smesso di guardare la TV, gli sembrava che quello che succedeva fuori dalla sua finestra fosse molto meglio di qualsiasi trasmissione televisiva.
Col passare dell'inverno
le giornate si allungarono e i lavori al cantiere proseguirono con
più veemenza, un gran numero di camion e betoniere iniziò a percorrere di corsa lo
stradone in terra battuta che portava sino ai fossi delle fondamenta. Marco, sbirciando dallo steccato in lamiera, vide una distesa di
terra e cemento intervallata da ampie buche grosse come tombe per
dinosauri, una grossa operazione immobiliare - pensò.
Il piatto in cui aveva
mangiato la sua carne in scatola e i suoi ceci precotti era ricoperto
da un velo sottile di grasso, uno strato appena sufficiente ad opporre una
strenua resistenza allo scorrere dell'acqua che usciva da rubinetto in cucina.
Senza nessun preavviso un'esplosione dal botto simile a quello di un
pneumatico forato partì dalla canna e una chiazza color ruggine
sparata dritta sull'interno in ceramica costrinse Marco ad
indietreggiare come se minacciato da un'arma convenzionale. Mentre la
fontana sparava, alternando al flusso regolare dell'acqua matasse viscose e putride, dallo scarico del lavello iniziò a risalire come dall'oltretomba un grugnito spaventoso. Marco si sfilò in
fretta i guanti gialli di lattice e vedendoli lasciò cadere il
piatto che, a contatto con il suolo, si ruppe in due pezzi uguali. Ad
uno ad uno cominciarono ad uscire correndo come inseguiti dal loro
nemico naturale. Venivano fuori dappertutto, c'era chi risaliva dagli
scarichi, chi dalla tazza del cesso, chi invece sbucava dalle
condutture dell'areazione. Erano grigi, erano grossi, un esercito di
topi il cui squittire acuto copriva qualsiasi altra fonte di rumore.
Una prima fila schierata come una quadriglia ordinata osservava Marco
dal basso, altri plotoni disordinati si erano asserragliati invece, sui
mobili e dietro le tende. Stavano rodendo tutto quello che i loro denti riuscivano a sbriciolare. Fuori dal recinto della
villetta monofamiliare i camion e le betoniere avevano ricominciato a
correre lungo il selciato lasciando tracce bianche sull'asfalto
antistante il cantiere, il loro rumore, in casa, giungeva come un fruscio lontano, nella mente di Marco proliferavano immagini di nuvole di polvere
bianca alzate dalla corsa di camionisti indisciplinati. I topi erano
meglio degli uomini, ma fuori dalla porta di casa, di questo ne era
certo.
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