martedì 15 novembre 2011

Funo Centergross




































Voltando dalla statale nel vialetto pedonale si arrivava alla piazzola comune da cui si dipanavano, in ordine alfabetico, le scale d'ingresso per le sette villette bifamiliari del complesso residenziale Rosita.
Il treno arrivava quasi sino in casa, 17 minuti dalla stazione centrale di Bologna poi 125 metri all'ombra del grosso orologio incastonato nel cubo di metallo sponsorizzato Zueg. Di notte il paese non era diverso dal parcheggio di un centro commerciale, l'interporto era tutto quello che c'era e i camion l'unica risorsa a disposizione. La stazione nuova, le aiuole ben curate e qualche bar aperto anche di notte lungo la statale, contribuivano solo a dare argomenti validi agli agenti immobiliari intenti a piazzare i loro lotti a clienti ipotetici.
Era quasi mezzanotte quando, aperte le porte del treno, la vidi scendere da sola, avvolta nella sua giacchetta di mezzastagione. Dal secondo piano il panorama della distesa bassa e regolare delle case color vomito era avvilente, una nuvola di vapore puzzolente preannunciava la partenza di un automobile, stringevo forte tra le mani il mio binocolo immaginandomi ben oltre quello che riuscivo a vedere.
Due anni e sei mesi di avvistamenti, otto tentativi casuali di avvicinamento, centodue treni presi insieme, ventidue volte seduti allo stesso sedile, 28 ore passate a studiare l'asimmetria della sua faccia.
Il rumore dei tacchi sull'asfalto risaliva a fatica schiacciato dalla pesantezza della nebbia; un rullio sincronico che si espandeva nel silenzio interrotto solo dallo stridere delle lancette sul grosso quadrante illuminato dell'orologio. Stringeva le chiavi nella tasca della giacca, sembrava pronta ad aprire la porta di casa e a riversarsi nella normalità delle sue serate televisive, ma la nuvola di vapore dell'auto si materializzò sotto forma di un uomo non più alto di un bambino.
Il giovedì passava prima in palestra, nei 197 minuti di conversazione ascoltati vi era anche la descrizione dettagliata del corso di pilates, i motivi dei tre cambiamenti di scheda e i nomi dei quattro istruttori: Mario, Pedrito, Gianni e Michele. 
Qualcosa ruzzolò via veloce rifrangendo le luci gialle dei lampioni, una corda, srotolata come la lingua d'un gatto dei cartoni animati, s'avvinghio ai complessivi 37 cm di circonferenza delle caviglie ammantate nelle calze 70 denari; un grido mi morì in gola e un'altro venne serrato nel sacco di iuta che l'uomo/bambino aveva usato come cappuccio.
Una macchina si fermò all'ingresso della stazione, due ragazzi, infreddoliti smisero di baciarsi e prepararono, allargando un grosso sorriso, il benvenuto al veicolo con il fanale anteriore destro leggermente inclinato verso il basso. 
Da un luogo imprecisato mia moglie rantolò un lamento, il freddo stava entrando dalla portafinestra. La corrente, attraversando il tepore della sala da pranzo, si insinuava bassa sino ad arrivare alla camera da letto, chiusi gli infissi, riposi il binocolo e ingoiai la pillola per dormire. In strada i ragazzi erano scomparsi.


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