domenica 28 agosto 2011

Ficarra























Ficarra

Quattro parole di un forestiero

Da un foro della cisterna arrugginita e adagiata su di un fianco come una balena spiaggiata, dipartiva una linea brulicante di formiche che attraversava il marciapiede trasportando pezzi grossi di un panino abbandonato sul ciglio della strada. Arturo stette un attimo ad osservare quella colonia di esserini; nel loro incedere vi era un entusiasmo salvifico, pensò a Giona, all'entusiasmo del naufrago che tocca terra.
Era arrivato in autostop fino al bivio, risalendo dal mare; il sole era dritto e il suo abito buono era quasi zuppo di sudore.
L'edificio era il primo del paese, un magazzino chiuso da una grigia serranda in ferro, una casa dal corpo tozzo e sgraziato. Arturo, prima di bussare, ricontrollò l'indirizzo che si era appuntato su di un foglietto di carta, erano quasi le 11:00 del mattino e dopo aver attraversato l'Italia in treno sentiva il peso della responsabilità assegnatagli. Ripassò mentalmente il discorso che si era preparato, si interruppe un paio di volte sopraffatto dall'ansia, ma riuscì lo stesso a concludere il suo monologo. Aveva cercato ogni parola, era stato attento a concludere ogni frase senza fare ricorso a periodi lunghi ed arzigogolati. Dannava la sua timidezza, dannava i suoi concittadini che, a discapito di tutto, l'avevano scelto come messaggero per quell'ambasciata importante. Al campanello non rispose nessuno, l'edificio sembrava vuoto.
Non restava che risalire ancora, arrivare al paese.
Una striscia di case costeggiava il fianco della collina opponendo al declivio spontaneo del montarozzo la stupida rittezza degli edifici in cemento. A macchia di leopardo si intravedevano case ancora in costruzione dallo scheletro in cemento e dall'anima nera; la bellezza argentea dell'intonaco a calce degli edifici del centro, rendeva miserabile tutti quei cubi incompleti. In alto le pietre del convento si confondevano con la terra cotta dal sole; Arturo si sentiva nelle viscere della balena.
I pochi sguardi delle persone accucciate all'ombra, piombarono tutti su di lui e sul suo abito da impiegato delle poste. La piazza si allargava come la prua di una nave risalendo verso il torrione di quello che sembrava il Palazzo Baronale, ai lati della strada le case, ritagliate come cartamodelli bidimensionali, si disponevano su più livelli. Arturo si decise a chiedere informazioni al rigattiere barbuto che tagliava una ricotta secca facendo pressione col pollice sulla lama del suo coltellino da tasca.

Salve... cerca qualcosa?

Arturo non riuscì ad aprire bocca, l'uomo aveva preso il fogliettino sul quale c'era l'indirizzo e lo consultava macchiandolo di grasso.

O' maestro.. vero? Lei cerca o' maestro...
mhh...
Sicuro, sicuro.
mhh...
E aspetti allora, aspetti che tanto arriva.

Una goccia di sudore percorse l'intera superficie del volto di Arturo terminando la propria corsa sulle labbra increspate per il nervosismo, un uomo, piccolo e claudicante, stava attraversando in piazza Vittorio Veneto senza soffrire la calura in un impeccabile tenuta nera. I capelli erano ingialliti dal tempo e sul volto c'era una espressione bonaria incondizionata.

Mi hanno detto che lei mi cerca

Arturo si meravigliò che la notizia del suo arrivo fosse già arrivata alle orecchie del maestro, pensò a un entità ascoltatrice, ad una fuga di parole dal vortice dei suoi pensieri, ma non riuscì ad aprire bocca. Si tastò goffamente provando a recuperare il fogliettino su cui l'indirizzo era oramai scomparso sotto un tappeto maculato di grassi vegetali.

Si metta a suo agio. Lei è un uomo di buon spirito e non ha nulla da temere.
Sono qui per le luci – disse, come singhiozzando.

Il suo monologo non sarebbe stato altrettanto eloquente.



prodotto durante la residenza letteraria
al museo Lucio Piccolo Ficarra 19 -23 agosto 2011
si ringrazia:
Mauro Cappotto
Carmelo Raffaele
Mimmo Bonfiglio
L’ufficio di informazione turistica di Ficarra
Massimo Ricciardo

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